Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche



Introduzione di Michele Buscè
In questo affascinante articolo, Alfredo Franco ripubblica un estratto dell’opera “Nola” del letterato nolano Ambrogio Leone, in cui si racconta la storia della città e la sua lotta contro le devastanti alluvioni che la perseguitarono nel XV secolo. Con uno sguardo attento alla necessità di preservare i suoli e garantire un deflusso sicuro delle acque montanee, Leone ci invita a riflettere sulla forza distruttiva delle inondazioni e sulle soluzioni adottate per contrastarle. Tra le pagine di storia, scopriremo gli sforzi di bonifica intrapresi dalla Corona e dalla comunità locale, che portarono a una riconquista della terra e alla rinascita dell’agricoltura nella piana del Clanio. Un viaggio nel passato che ci mostra come la determinazione umana possa trasformare una calamità in una nuova opportunità di crescita e prosperità.



Le alluvioni a Nola: uno sguardo storico sulle calamità naturali

Sulle pagine del CNSBII si è già affrontato in modo sistematico l’impatto delle alluvioni nell’arco appenninico e subappenninico. L’invito a dare un contributo in merito, partendo da una prospettiva storica, mi dà modo di ripubblicare, rimaneggiato, uno stralcio specifico tratto da una opera più ampia (si veda in bibliografia “Studi Storici Sarnesi 3”).

Il letterato nolano Ambrogio Leone, medico e filosofo, membro dell’Accademia Aldina di Venezia, ormai lontano dalla patria nel primo decennio del Cinquecento stendeva la sua opera Nola. In essa ripercorreva la storia della sua città e anche la sua particolarissima storia naturale. Il sito infatti è stato sempre esposto alle colate di fango che provenivano dalle vicine montagne avellane e, per l’autore rinascimentale, era di fondamentale importanza che gli alvei si mantenessero sgombri dalle terre o altri ostacoli al decorso delle acque, essendo stato sia testimone diretto sia raccoglitore di memorie molto più antiche relative alla forza dirompente dell’alluvione.

I due grossi eventi alluvionali ricordati da Leone colpirono la città campana tra gli anni Venti e Trenta del XV secolo e nel mese di marzo del 1504. Quest’ultimo fu tale da imprimere nella coscienza cittadina un profondo senso di inquietudine se almeno due epigrafi lo ricordarono ammonendo i posteri. Ci resta questa cronaca dettagliata di Notargiacomo:

«Del mese de frebaro dicti anni 1504. sparò una boccha d’acqua sopra la Cità de Nola dove che annegò de multi terreni de Nola, sì anco erano quasi pieni li fossi, puzi et sepulture de Nola; et de dicta acqua se nne beveano et facevano el pane adeo che in li fossi et terreni si ’nce crearo multa quantità de pissi et per dicte cause ’nde morero da sey milia persune; la quale acqua correva dove ne cascaro doy case de Nola»

Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche
Schematizzazione della conca in cui ricade l’Agro nolano dall’opera Nola di Ambrogio Leone (1514)

Ambedue i testi indugiano sulla necessità di avere accortezza nel far defluire le acque montanee a tutela dei suoli, ricordando come la frana colpì la città entrando da Porta Vicanziana e lasciando dietro di sé una grande quantità di danni. Nell’estate seguente una letale epidemia ridusse la popolazione tanto che fu abbandonata ogni attività e gli abitanti, temendo il contagio, trovarono rifugio o nelle campagne circostanti o sulla collina di Cicala.

I sacerdoti annotarono a meno di un lustro di distanza dall’evento che la zona devastata si estendeva per oltre 500 passi verso il Vesuvio e che perirono circa 8000 persone. La stima della mortalità comprende anche i casali dei dintorni. E anche nella cronachistica cittadina si rinnova l’ammonimento al Lettore mettendolo in guardia dalla calamità: «Quindi salva te stesso e i tuoi cari»!

Per arginare lo sfollamento e contrastare la carestia il capitano attivò altri due mulini. Si cercava di evitare che ulteriori condizioni di contagio potessero propagarsi e di riportare la popolazione all’interno della città. Questo non fu il solo atto concreto da parte della Corona a favore dei nolani: il re Cattolico infatti nel 1507 rinnovò alla città e ai singoli cittadini tutti i privilegi commerciali già concessi dai re Aragonesi ed ulteriori sgravi furono concessi.

Bonifiche e risanamento ambientale: la lotta contro le inondazioni nella storia di Nola

In effetti lo strumento dello sgravio fiscale era l’unico e più immediato mezzo di sussidio nelle mani del re a favore delle popolazioni disagiate, essendo impensabili per la gravità dei tempi nuovi lavori di risistemazione degli alvei attorno alla città. Questa manutenzione fu in gran parte proseguita dai privati e, solo a fine secolo, condotta in modo concreto e sistematico non soltanto in prossimità delle mura nolane ma in tutta la piana del Clanio. Il progetto di risanamento ambientale dell’area, attuato in varie riprese tra il 1539 ed il 1561, subì diverse battute d’arresto a causa della scarsità di mezzi a disposizione.

Dopo oltre un trentennio i lavori furono riavviati con più metodo dal viceré Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos, che diede incarico all’architetto Domenico Fontana il quale vi operò ininterrottamente dal 1592 al 1604. I lavori di riconquista all’ agricoltura e all’insediamento stabile della grande fascia di territorio tra Nola e il Lago Patria fu condotta stavolta con decisione e con un programma organico di sovvenzionamenti. Non si trattò di una semplice ripulitura e di un mantenimento dell’alveo nella sua sede naturale, ma di una vera e propria opera di ricanalizzazione del percorso fluviale da sinuoso a rettilineo. Non fu però questo il solo accorgimento del direttore dell’opera di bonifica, perché lungo tutto il tracciato fu praticato uno scavo a sezione obbligata ben più profondo rispetto a quello naturale (8 palmi circa 2 m rispetto ai 5 palmi circa 1,25 m precedenti). Accanto a questo canale principale furono previsti altri canali alveolari il cui scopo era quello di impedire che i flutti del Clanio trovando la foce presso il Lago Patria ostruita dalle reti e dalle nasse dei pescatori potessero tornare indietro ed impaludare nuovamente tutta l’area. Questi due canali originavano rispettivamente dalla Gorgone e dall’area a nord di Acerra, congiungendosi poi al corso principale dove il fiume aveva una portata maggiore ed un letto idoneo a riceverne l’apporto. La riuscita del progetto fu dovuta al fatto di aver privato di forza la corrente a monte di Acerra e di aver impiegato squadre specializzate di manovali campani. Il figlio di Domenico Fontana, Giulio Cesare, completò il progetto paterno con successo.

Una prammatica del 1615, allo scopo di mantenere duraturi i brillanti risultati raggiunti, vietò l’industria della canapa e del lino nel fiume, inaugurando così una lunga stagione secentesca di manutenzioni ordinarie e straordinarie che si esaurì a metà del XVIII secolo, quando ormai l’intera pianura era stata completamente riconquistata.

Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche
Veduta dell’opera dei regi Lagni (A. Baratta, Campaniae Felicis Typus, in G. Barrionuevo, Panegyricus Ill.mo et Ex.mo D.no Petro Fernandez a Castro etc., Neapoli 1616).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Elena Amendola, Il disordine climatico-ambientale dell’Anno 1779
Giuseppe Fiengo, I Regi Lagni e la bonifica della Campania felix durante il viceregno spagnolo, Firenze 1988.

Ambrogio Leone, Nola, a cura di Ruggiero A., Napoli 1997.
Cronica di Napoli di Notar Giacomo, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845.
Giuseppe Martini, Nola nel secondo Quattrocento, in Algorismus nolanus, Milano 1972
Alfredo Franco, Regime delle acque e organizzazione del territorio nell’Italia medievale (“Studi Storici Sarnesi 3”), Torre del Greco 2021.

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Il disordine climatico-ambientale dell’Anno 1779



Risposte dal passato per il presente: i disastri climatici e le calamità naturali del XVIII secolo in Italia.

Per conoscere e prevenire i dissesti idrogeologici del presente si rende necessaria la conoscenza non solo degli eventi disastrosi del passato dovuti ai disordini climatici, ma anche del continuum di eventi minori, che si manifestano con le stesse dinamiche e causano danni all’ambiente, all’economia e alla salute. Consultando l’enorme patrimonio documentale archivistico e librario potremo dare risposte attendibili agli eventi climatici del nostro tempo. Nel XVIII secolo, il carattere estremo e la grande variabilità climatica si manifestarono insieme a terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie e ad altre calamità naturali. In particolar modo, in Italia, l’inverno tra il 1778 e il 1779 diede inizio a uno degli anni tra i più terribili dal punto di vista climatico-ambientale.

Un viaggio nel tempo: ricostruire gli eventi climatico-ambientali del passato per comprendere il presente.

Per la comprensione dei grandi eventi idrogeologici del presente è di fondamentale importanza la ricostruzione storica degli episodi passati attraverso le abbondanti informazioni documentarie conservate negli archivi storici locali, al fine di evidenziare sia gli effetti patiti dai luoghi dove avvengono, sia i fattori influenti del sistema globale. Documenti ufficiali, corrispondenze tra privati, memorie, studi tecnici e riti religiosi con cui si chiede l’intermediazione di tutti i santi affinché piova, o perché si fermi il diluvio o altra calamità in atto, forniscono eccellenti insiemi di dati storico-ambientali di consistenza statistica sul disordine climatico dei secoli passati.

Apprendiamo così che la coesistenza di siccità e inondazioni nel bacino mediterraneo è un fenomeno storicamente noto. Il disordine nelle stagioni è testimoniato dall’enorme patrimonio documentale archivistico e librario, che conferma, già nei secoli scorsi, l’alternanza di periodi di siccità e periodi con qualità opposta, ovvero caratterizzati da piogge alluvionali, spesso accompagnate da inondazioni di fiumi e torrenti, frequentemente di tali intensità da interrompere tragicamente la vita e le attività degli uomini, distruggere raccolti, infrastrutture e interi villaggi.

In Italia, nei secoli XVII e XVIII, lo scambio di informazioni tra gli studiosi del tempo per spiegare i fenomeni climatici favorisce la discussione e il confronto tra fisici, astronomi, naturalisti e medici dando spazio a teorie e tesi, che vengono rese pubbliche grazie anche alla divulgazione della stampa, in un mondo che, anche se non vuole abbandonare superstizioni e credenze popolari, è ormai largamente dominato dal pensiero scientifico. Lo studio dei fenomeni naturali è basato essenzialmente sull’osservazione diretta e/o sulla ricerca storica utile a reperire dati in maniera rigorosa, a classificare ed analizzare. Certamente, non tutti i periodi di siccità sono stati riportati nella storia e, quindi, non tutti sono pervenuti ai posteri.

Descrizione immagine: Completa raccolta di opuscoli, osservazioni e notizie contenute nei giornali astrometeorologici dall’anno 1773 sino all’anno 1798 coll’aggiunta di alcune altre sue produzioni meteorologiche e publicate ed inedite
Volume 2
, Giuseppe Toaldo.
Una regola nella ricerca storico-ambientale per individuare i periodi di siccità: seguire gli anni piovosi.

Allo stesso tempo, gli eventi climatici estremi più distruttivi, generalmente, mettono in ombra nelle notizie di cronaca tutti gli altri eventi minori, seppur devastanti, fino addirittura ad eliminarne la memoria. In ogni caso, come sostiene nel Giornale per l’anno 1780, l’astronomo e meteorologo italiano, accademico di Padova, Giuseppe Toaldo, seguire gli anni piovosi può servire come regola nella ricerca storico-ambientale per individuare i periodi di siccità, e viceversa, poiché “dalle lunghe pioggie non vanno lontani i lunghi asciutti, benché talora non riferiti” (Ragionamento sopra la lunga siccità dell’Inverno 1779). Una sua particolare considerazione sul carattere “eccezionale” dell’inverno del 1779 denota l’atteggiamento dei contemporanei rispetto alle variazioni climatiche per nulla diverso da quello delle attuali generazioni: “è ben vero che questo fu un lungo asciutto, ma siamo soliti ad esagerare le cose presenti, per poco che si scostino dall’ordinario, anzi senza di questo ad ogni momento si ode gli uomini a dolersi; gran caldo, gran freddo, ec. Abbiate dunque, Signori, che stravaganze molto maggiori, come in ogni genere, così in questo dell’asciutto, occorsero nelle generazioni passate.”

Descrizione immagine: “Cronaca de’ lunghi asciutti, e di Fenomeni analoghi” – G. Toaldo, Giornale per l’anno 1780
La lunga e rigorosa catalogazione di eventi climatici estremi di Giuseppe Toaldo.

Attraverso la lunga e rigorosa catalogazione di eventi climatici estremi del Toaldo, apprendiamo che nel 1137 una terribile siccità accadde in Francia, tanto che pozzi e fontane si seccarono. I periodi di siccità possono durare mesi ma anche anni. Per gli anni 1159 e 1160, il Sigonio riferisce (de Regno Italiae, lib. 12) che dall’inizio di maggio fino alla fine di aprile dell’anno seguente, cioè per un anno, in tutta Italia non piovve mai. Talvolta la stagione, secca o umida, calda o fredda, domina per un determinato numero di anni, come avvenne per gli anni siccitosi 1472, 1473, 1474 in diversi paesi d’Europa, in particolare in Olanda e Francia, accompagnati da un caldo insopportabile.

Anche nel 1477 un lungo periodo di siccità portò fame e malattie. La cronaca riporta spesso di incendi accaduti nei lunghi periodi di siccità, come quelli degli anni 1472 e 1137. Nel 1473, sempre il Toaldo scrive che “tanto aridi erano i boschi, che pigliarono fuoco spontaneamente, e questo secco è famoso in tutte le Storie.” Nelle “Costituzioni epidemiche Modenesi”, il Ramazzini scrive che da novembre dell’anno 1690 fino a gennaio del 1691 non piovve e il clima fu estremamente caldo, ma alla fine del mese di gennaio, con il vento di Tramontana arrivò il freddo intenso. Dopo brevi piogge, la primavera fu calda come l’estate e l’estate successiva fu ardente: “non potevano gli uomini, e gli animali più vivere, e molti spezialmente i cani andavano in rabbia; ed una Coorte di altre malattie infestò il popolo; e questo secco, e questo caldo durò sino all’Equinozio di Autunno”. Peggio fu il 1694, 3 anni dopo: da gennaio, tutto l’inverno trascorse senza una goccia d’acqua. Seguirono poche piogge e il caldo estivo durò da aprile per il resto della primavera. Tutta l’estate seguente il caldo divenne intollerabile, fino all’autunno che seguì andamento simile in termini di siccità.

Il XVIII secolo: disordine climatico, terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie.

In particolar modo, nel XVIII secolo, il carattere estremo e la grande variabilità climatica si manifestarono insieme a terremoti, esplosioni vulcaniche, incendi, epidemie e ad altre calamità naturali. Periodi molto freddi si alternarono ad altri di grande caldo, ricorrendo la contemporaneità di eventi idrogeologici a carattere estremo con altri a impronta opposta. In Friuli diverse furono le inondazioni causate dai fiumi, in particolare dal Tagliamento. La Campania fu flagellata dall’eruzioni del Vesuvio, da alluvioni e colate rapide di fango.

Lo storico Girolamo Ferrari (Notizie Storiche della Lega, 1723) annota per l’anno 1718:“I Posteri dureranno fatica a credere che sieno scorsi novo mesi senza cadere stilla di pioggia, si può dire in tutta l’Europa […]. Seccati i fonti, i ruscelli, ed i minori canali, cercarono gli abitanti l’acqua per molte miglia ne’ fiumi più grossi; ed è accaduto che molti animali bevendo con ingordigia creparono sul luogo; […]”. E nel mese di luglio, nel padovano, “dall’eccessivo ardore dell’aere”, le canne e ogni altro cespuglio presero fuoco. Nell’anno 1755 si soffrì di un’altra grave siccità e il freddo fu così inteso che la laguna di Venezia gelò due volte, annota il Toaldo.

Ma l’inverno tra il 1778 e il 1779 diede inizio a uno degli anni tra i più terribili dal punto di vista climatico-ambientale, in particolare per l’Italia, in cui le diverse calamità naturali si susseguirono e, in determinati luoghi si manifestarono quasi contemporaneamente, sovrapponendo tutto il loro carico di effetti e devastazioni amplificando la loro potenza

L’inverno del 1778-1779: Un anno di calamità climatiche e ambientali senza precedenti che colpì l’Italia e l’Europa.

Sul finire dell’anno 1778, iniziò una lunga siccità per l’Europa intera che si prolungò fino alla primavera del 1779. Insieme alla siccità, il freddo gelido fu paragonabile a quello accaduto nel 1755 e la pressione barometrica si mantenne costantemente elevata molto al di sopra della media altezza, il cielo quasi sempre sereno e la temperatura dell’aria fu molto dolce. Nelle “Memorie e studi idrografici” del Servizio Idrografico, 1923 (Biennio 1921-1922, Volume 2, Ministero dei Lavori Pubblici, Roma, Tipografia del Senato), si legge che dalla metà di dicembre 1778 al mese di maggio 1779 a Milano vi fu una siccità straordinaria (solo 17.5mm di pioggia a fronte dei soliti 353,9mm che cadevano nello stesso intervallo di tempo) mentre a Livorno non cadde una goccia di pioggia. Le paludi a levante e a ponente del fiume di Camaiore, in vicinanze del mare furono disseccate. Sulle coste della Toscana e nel Porto di Genova fu osservato un notevole abbassamento del mare.

Nel Lazio la siccità si estese dai primi di gennaio ai primi di giugno (secondo Toaldo, in realtà, fino a dieci mesi senza pioggia significativa), tanto che nel “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni” del 1855 (Volume 74), Gaetano Moroni scrive che la grandissima siccità aveva addirittura facilitato in modo singolare i lavori di prosciugamento delle Paludi Pontine e questo fu segno che il Cielo evidentemente favorisse sin dall’inizio la grandiosa impresa di Pio VI.

Nel Parmense la siccità durò quattro mesi, durante i quali i torrenti furono quasi asciutti. “I maggiori fiumi, non che i piccioli ruscelli, ed i fonti, erano così magri d’acqua, che il Pò nel Piemonte, l’Elba in Sassonia, si poteano guadare a cavallo, […] secchi quasi tutti i canali di Venezia”, registra il Toaldo.

Con la siccità sopraggiungono gli incendi e le epidemie.

Il fenomeno fu ovunque in Italia e si temeva una carestia generale, mentre i disastri si moltiplicavano. Con la siccità sopraggiungono gli incendi spontanei e nell’inverno del 1779 ardono lunghi tratti di bosco nei Colli Euganei. Non mancò l’inondazione del Tagliamento, che a Latisana fu disastrosa. Inoltre, da giugno a settembre del 1779 vi furono terribili terremoti a Bologna, afflitta da eventi simili nel 1505, anno in cui si soffrì analoga grande siccità. A Napoli, Portici, Sorrento e Massa, nei mesi di settembre, ottobre e dicembre vi furono scosse di terremoto con molte abitazioni lesionate (Intorno ai mezzi usati dagli antichi per attenuare le disastrose conseguenze dei terremoti, Antonio Favaro, Venezia, 1874).

Il caldo e la siccità prolungata danno luogo ad epidemie e il Cotugno scrive che sul finire dell’anno e dell’incendio del Vesuvio comparvero assai febbri nervinae rheumaticae (Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850, Alfonso Corradi, Parte IV, Dispensa I, Bologna, 1876).

Gaetano DE BOTTIS, “Ragionamento istorico intorno all’eruzione del Vesuvio che cominciò il dì 29 luglio dell’anno 1779 e continuò fino al giorno 15 del seguente mese di agosto, Napoli, Stamperia Reale, 1779”, Tavola II. Incisione su rame. Disegnatore: Pietro FABRIS. Incisore: Francesco GIOMIGNANI.
L’eruzione del Vesuvio del 1779: Un evento climatico-ambientale di impatto devastante e i suoi effetti sulla storia e l’osservazione scientifica.

Nella estate del 1779, infatti, il giorno 29 di luglio, era iniziata anche una violenta eruzione del Vesuvio che continuò fino al 15 di agosto: “per le pietre infuocate, per la rena, per le pomici, e per la cenere, che caddero nelle montagne di Ottajanno, Somma e nelle contigue campagne, ed in quelle della terra di Palma, della Città di Nola, e luoghi vicini ne’ giorni 8, e 11 di Agosto lì restarono gli alberi di diversa specie in tal modo offesi, che comparvero indi, come osservar soglionsi nel cuor dell’inverno; e l’erbe tutte, e le altre tenere piante rimasero parimenti abbattute; ma indi poi dopo pochi giorni gli alberi tornarono verdi e le viti, i peri, i meli, i prugni, i mandorli, ed altri alberi rinverdirono, gemmarono, germogliarono, e in fine fruttarono di nuovo negli offesi campi. Dal mezzo delle pomici sursero delle erbe e delle piante, alcune delle quali fiorirono.” Così racconta il De Bottis, nel “Ragionamento istorico intorno all’eruzione del Vesuvio nel 1779”, inconsapevole che sul finire del secolo il vulcano avrebbe lasciato il segno indelebile di uno dei più devastanti eventi della sua storia eruttiva, l’eruzione del 1794.

Descrizione immagine: Gaetano DE BOTTIS, “Ragionamento istorico intorno all’eruzione del Vesuvio che cominciò il dì 29 luglio dell’anno 1779 e continuò fino al giorno 15 del seguente mese di agosto, Napoli, Stamperia Reale, 1779”

Gli effetti diretti o indiretti delle eruzioni sulle variazioni climatiche globali e locali non sfuggirono agli studiosi del passato. Giuseppe Toaldo, se anche non vedeva correlazioni, prescindendo dalle influenze reciproche degli eventi, rilevò – e come lui tanti altri osservatori del tempo – che nella storia ambientale, negli anni asciutti sempre, o contemporaneamente, o poco prima, o poco dopo, o tutto insieme, si verificano terremoti ed esplosioni vulcaniche. Bisognerà, però, attendere ancora due secoli affinché nel 1979 gli oceanografi americani Henry e Elizabeth Stommel dimostrino che l’eruzione del vulcano Tambora (1815), accaduta nell’arcipelago indonesiano della Sonda, abbia determinato nell’Europa occidentale l’anomalia climatica del 1816, un anno senza estate. Ma questa è un’altra storia.




Dragaggio dei Fiumi: una soluzione controversa per le alluvioni



“Sfida e bilancio. esaminando gli effetti del dragaggio fluviale come strategia anti-alluvione”.


Introduzione.

Dragaggio dei Fiumi. Dopo ogni evento alluvionale, è inevitabile che sorgano polemiche riguardo alla pulizia dei corsi d’acqua. Molti ritengono che “dragare” i fiumi possa aumentare la sezione di deflusso e migliorare l’efficienza idraulica. Tuttavia, è importante considerare gli effetti a lungo termine di queste pratiche. Gli argomenti a favore dell’asportazione dei sedimenti sostengono che possa ridurre il rischio di alluvioni e migliorare la gestione idraulica. Tuttavia, gli studi scientifici dimostrano che queste azioni possono alterare l’equilibrio naturale dei corsi d’acqua e avere conseguenze negative sull’ambiente circostante.

Effetti dell’asportazione dei sedimenti.

Gli studi scientifici condotti da geomorfologi fluviali, ingegneri idraulici e civili hanno dimostrato che l’asportazione dei sedimenti ha effetti significativi sull’equilibrio dei corsi d’acqua. Inizialmente, può sembrare che l’asportazione dei sedimenti aumenti la capacità di deflusso dei fiumi, ma nel corso di alcuni anni, il corso d’acqua tenderà a definire un nuovo profilo di equilibrio. Questo nuovo profilo comporterà un’azione erosiva più intensa sulle sponde, con il rischio di scomparsa del materasso alluvionale presente e il conseguente restringimento dell’alveo stesso. Ciò significa che l’asportazione dei sedimenti può aumentare il rischio di alluvioni a valle, accelerando e concentrando i flussi d’acqua.

Instabilità geomorfologica e rischi associati.

L’asportazione dei sedimenti rende instabile l’equilibrio geomorfologico dei corsi d’acqua, causando un effetto domino su diverse opere di contenimento e mitigazione dell’erosione. Le opere di protezione realizzate lungo le sponde, come scogliere, gabbionate e argini, possono perdere la propria funzionalità a causa delle modifiche indotte dall’asportazione dei sedimenti. Inoltre, l’escavazione del fondo alveo può provocare un aumento locale di pendenza che tende a migrare verso monte, generando erosione regressiva. Questa instabilità può mettere a rischio la stabilità delle opere longitudinali sulle sponde e dei ponti che attraversano i corsi d’acqua.

Implicazioni idrogeologiche e ambientali.

L’abbassamento dell’alveo dovuto all’asportazione dei sedimenti può influenzare l’equilibrio tra acque superficiali e acque sotterranee. Ciò comporta la diminuzione del livello della falda freatica e la captazione ridotta delle acque nei pozzi. Inoltre, l’asportazione dei sedimenti ha effetti sulle aree costiere marine, creando un deficit di trasporto solido che altera l’equilibrio tra l’ingresso delle acque marine e il ripascimento naturale delle spiagge. Di conseguenza, molte aree costiere marine sono soggette a erosione e arretramento.

La necessità di una gestione integrata delle alluvioni.

Per affrontare in modo efficace il problema delle alluvioni, è importante adottare una gestione integrata dei corsi d’acqua. Aumentare la velocità del deflusso o costruire argini in cemento non è sufficiente per mitigare i rischi. È necessario dissipare l’energia delle piene attraverso soluzioni di laminazione, rimuovere piante morte e grandi alberi dagli alvei che potrebbero ostacolare il flusso delle acque. Inoltre, è essenziale adottare misure di conservazione del suolo e delle acque, promuovere la rigenerazione dei sedimenti naturali e ridurre l’impatto delle attività umane sui corsi d’acqua.

Conclusioni.

L’asportazione dei sedimenti dai corsi d’acqua, sebbene possa sembrare una soluzione immediata per migliorare l’efficienza idraulica e ridurre i rischi di alluvione, comporta importanti conseguenze negative. Alterando l’equilibrio geomorfologico e favorendo l’erosione delle sponde, l’asportazione dei sedimenti mette a rischio la stabilità delle opere di contenimento e dei ponti. Inoltre, influisce sull’equilibrio idrogeologico e sull’ambiente costiero marino. Affrontare in modo efficace le alluvioni richiede una gestione integrata e sostenibile dei corsi d’acqua, che tenga conto dell’equilibrio naturale e promuova misure di conservazione e rigenerazione degli ambienti fluviali.

Leggi anche: ISPRA, Manuali e Linee Guida 131/2016.