In data 26 Aprile 2021 il CNSBII – Corpo Civico Nazionale delle Sentinelle dei Bacini Idrografici Italiani ha eseguito dei sopralluoghi in ambito montano al confine tra le province di Salerno ed Avellino. Durante la nostra attività di monitoraggio, abbiamo individuato varie criticità ambientali.
Le criticità
Le maggiori criticità si sono riscontrate in un Comune della Provincia di Avellino, in particolar modo a Forino, lungo gran parte della Strada Provinciale 30 . L’arteria in questione è una strada spesso utilizzata dalle persone del luogo, in quanto collega il piccolo comune di Forino al comune di Bracigliano in Provincia di Salerno. Altre criticità legate all’abbandono rifiuti, sono state riscontrate anche in alcuni punti di Via Provinciale Antico Castello, sempre nel Comune di Forino. La seconda strada collega la frazione Celzi alla frazione Castello. Sul territorio sono stati rilevati consistenti abbandoni di rifiuti, quali: lastre contenenti amianto, pneumatici e altri rifiuti solidi urbani-ingombranti.
Il nostro intervento
Il CNSBII ha protocollato presso il Comune di Forino, la richiesta di rimozione dei rifiuti individuati nelle suddette aree. Altri enti che hanno ricevuto l’istanza da parte del CNSBII sono: il Sindaco di Forino e Polizia Locale,Provincia di Avellino settore Ambiente e Viabilità, ASL Avellino, Stazione Carabinieri Forestali – Forino, Ato Rifiuti Avellino, alla UOD 50 17 09 Autorizzazioni Ambientali e rifiuti Avellino della Regione Campania, l’Incaricato per il contrasto al fenomeno dei roghi di rifiuti in Campania e alla SMA Campania.
Il conto alla rovescia
Dalla data di avvenuta segnalazione, abbiamo attivato il nostro conto alla rovescia di trenta giorni in modo da poter seguire passo per passo il seguito amministrativo generato dalla nostra segnalazione. Questa pubblicazione potrebbe ricevere degli aggiornamenti generati da nuovi atti ricevuti dal nostro organismo.
10 Maggio 2021: deposito atto ai seguenti enti: Sindaco di Forino e Polizia Locale,Provincia di Avellino settore Ambiente e Viabilità, ASL Avellino, Stazione Carabinieri Forestali – Forino, Ato Rifiuti Avellino, alla UOD 50 17 09 Autorizzazioni Ambientali e rifiuti Avellino della Regione Campania, l’Incaricato per il contrasto al fenomeno dei roghi di rifiuti in Campania e alla SMA Campania n.prot: non disponibile
Incendio a Forino, 11 Maggio 2021
Nel pomeriggio dell’11 maggio 2021, un incendio boschivo ha interessato il Monte Poggio Boschitello di Forino.
L’incendio si è sviluppato al confine con un piccolo castagneto di proprietà privata e facilmente si è propagato. Ad aiutare la propagazione del fuoco, troviamo vari fattori, fra questi: umidità bassa, vento debole e tanto sole.
Ore 13.00, subito dopo l’avvistamento la nostra vedetta AIB CCIA-CAM11 da Forino (AV) ha provveduto ad effettuare la segnalazione tramite applicativo alla SMA Campania, 1515 e messo subito a conoscenza la Protezione Civile Locale;
Ore 13.50 arrivo di un mezzo della Regione Campania;
Ore 15:45 da Roma Ciampino partono due Canadair con missione antincendio (Can10 e Can16).
Ore 16:30 Arrivo del supporto aereo a Forino, i due canadair eseguono un rapido controllo della zona e iniziano le operazioni di spegnimento, andando a rifornirsi d’acqua sul Golfo di Salerno. Nel mezzo, ci è stata una breve pausa, perché gli stessi canadair hanno operato anche a Montoro. Al termine, hanno eseguito altri lanci sul Monte Poggio Boschitello di Forino.
Ore 18:20 incendio boschivo completamente spento. I due canadair complessivamente hanno effettuato 10 lanci.. L’incendio per tutta la sua durata ha sprigionato una densa nube di fumo.
In allegato alcune foto scattate dalla Vedetta Civica Antincendio Boschivo Carmine Albano.
Si ringrazia la Vedetta Civica AIB Angelo Concilio per la comunicazione codici Canadair.
5 maggio 2021 Alluvione di Sarno e Quindici. 23 anni, cosa è cambiato?
Il CNSBII una forza civica indispensabile per il territorio
di MICHELE BUSCE’Giornalista e Coordinatore Nazionale del CNSBII
Gli eventi franosi possono dividersi in fenomeni che hanno un’origine naturale e in fenomeni che possono generarsi da fattori non naturali. Tra i fattori non naturali, ci sono quelli generati dall’uomo che ha influito fortemente su alcuni cambiamenti generando gravi conseguenze, infatti, nel corso dei secoli egli ha avviato una gestione della selvicoltura e delle colture di montagna sui versanti montuosi, ai fini della sopravvivenza e sostentamento, generando solide economie cambiando però le origini naturali dei luoghi.
L’alluvione di Sarno e Quindici, o frana di Sarno, è stato un movimento franoso di vaste dimensioni che, tra il 5 e il 6 maggio 1998, colpì, in particolare, le aree urbane campane di Sarno (SA), Quindici (AV), Siano (SA), Bracigliano (SA) e San Felice a Cancello (CE), causando la morte di 160 persone.
Da quel momento la popolazione che lavorava in montagnadecise di stanziarsi gradualmente, guarda caso, proprio a ridosso dei luoghi di lavoro e nei luoghi che ad oggi sono classificati tra i più pericolosi, pagando sulla propria pelle e anche a danno delle sue proprietà, le infauste scelte di voler avere a due passi, con tutte le comodità possibili, sia il lavoro che la casa. Nella maggioranza dei casi, nel corso dei secoli è andato tutto bene, ma si sapeva che sarebbe bastato un singolo episodio calamitoso per causare danni ingenti e per spazzare via persone e cose.
L’uomo di qualche secolo fa, pur subendo gli errori delle proprie scelte, era un uomo che ricordava bene e non dimenticava gli eventi calamitosi che si verificavano nelle aree a rischio e attivava di concerto con le amministrazioni locali (al tempo identificati in contesti di Regno) tutta una serie di attività di prevenzione che ne limitavano i futuri danni. Giacché viveva la montagna per lavoro, egli, si dedicava anche alla manutenzione, alleggerendola di biomassa, liberando i torrenti montani da sedimenti e materiale legnoso che sarebbero potuti venir giù tramite eventi meteorologici intensi.
Nel mese di maggio 1998, l’area del comprensorio di Sarno fu colpita da un eccezionale evento piovoso, e nell’arco di 72 ore caddero oltre 240/300 millimetri di pioggia. Tale evento causò la dissoluzione della continuità tra calcare e piroclasti, e provocò lo scivolamento catastrofico di questi ultimi sul primo (si trattò di un vero e proprio lahara).
aIl lahar è una colata di fango composta di materiale piroclastico e acqua che scorre lungo le pendici di un vulcano, specialmente lungo il solco di una valle fluviale. Il termine lahar proviene dall’Indonesia e significa lava in lingua giavanese.
E’ chiaro che laddove vi è la presenza di persone, animali di allevamento e cose, nasce il rischio e quindi l’uomo ha avviato delle opere, alcune palesemente discutibili, di mitigazione dal rischio.
Man mano che l’urbanizzazione aumentava togliendo suolo permeabile, l’uomo cercava di limitare il danno cercando di prevenire il rischio idrogeologico e idraulico a favore dei nuclei abitativi posti ai piedi dei monti. Ad oggi e da decine di anni a questa parte, si è deciso di non investire più denaro sui monti al fine di fare la dovuta prevenzione dal danno che sappiamo prima o poi si (ri)verificherà. L’incuria, l’abbandono, la mancata sorveglianza e manutenzione, hanno portato l’assenza del controllo e i “briganti” della montagna ne hanno fatto e ne fanno ancora, un po’ quel che vogliono. I monti del Bacino Idrografico del Fiume Sarno ogni anno subiscono grossi incendi e disboscamenti abusivi e non controllati ed il tutto, ricade sempre a danno dei versanti che si ritrovano i nuclei abitativi nella zona pedemontana. Altri importanti e non controllati fenomeni sono le colture non autorizzate e alloctone a quel tipo di area montana e quindi ci troviamo finanche piantagioni come quelle di castagno, banane, kiwi, agrumi, vigneti e uliveti, su aree che dovrebbero essere a prevalenza di varietà arboree come Faggi, Querce, Frassini, Tigli, Pioppi, Aceri, Ontani, Carpino Nero.
di ENNIO MOLISSE, Dottore in ingegneria Edile-Architettura
5 maggio 2021. Sono ormai trascorsi 23 anni dai tragici eventi del 1998. Tanto è stato fatto in questo lasso temporale e tanto resta ancora da fare. Ma se sulla modalità di gestione dell’emergenza, sulla nascita di un “Modello Sarno”, sulle opere di mitigazione del rischio realizzate, sui sistemi di monitoraggio e di allertamento messi a punto, sul problema delle opere ancora incomplete e della difficoltosa manutenzione si è ampiamente discusso e ancora si discute, una domanda resta ancora sospesa nell’aria “cosa vuol farsene Sarno della propria montagna?”.
Secondo quanto riportato da alcune fonti, solamente dieci ore dopo l’accaduto l’assessore all’ambiente della Regione CampaniaAngelo Grillo inviò ai sindaci della zona un fax in cui si prevedeva la possibilità di eventi catastrofici:
“Segnalasi che la conformazione orografica e le caratteristiche geoambientali del vostro territorio comunale in concomitanza di particolari eventi piovosi in corso in queste ore, possono determinare situazioni non prevedibili di instabilità con conseguenti eventi franosi catastrofici. Tanto si comunica ai fini dell’attivazione di ogni misura necessaria atta a garantire la salvaguardia della pubblica e privata incolumità“
Angelo Grillo
Nei secoli passati essa costituiva una considerevole fonte di sostentamento per i suoi abitanti. Oltre alla coltivazione dei vigneti, degli oliveti, dei frutteti e successivamente dei noccioleti, rilevanza strategica rivestiva la gestione dei boschi di querce e castagni1 da cui si ricavava: legna per cucinare e riscaldarsi; legname per costruzioni, infissi, mobili, botti e utensili vari; pali per vigneti, frutteti, recinzioni e linee aeree; fascine per la cottura del pane; carboni; fieno per gli animali; funghi ed erbe spontanee. Un’ampia porzione del patrimonio boschivo era di proprietà del Comune che la gestiva in proprio o ne concedeva in affitto alcune aree ai privati, nel rispetto però di tutta una serie di prescrizioni circa l’esecuzione del taglio, le modalità di trasporto della legna, la produzione di carboni, il pascolo degli animali e la custodia del fondo; gli usi civici permettevano comunque a tutti i cittadini di Sarno di raccogliere nei terreni demaniali “le legne secche, i pampini, le castagne, le ginestre, i scoccapignati, i livorni e il frascame”2. Importante era il lavoro dei guardaboschi comunali che percorrevano la montagna monitorando lo stato dei luoghi e la regolarità del taglio: non si potevano tagliare gli alberi appositamente marchiati dagli agenti forestali, in modo tale da garantire sempre una gestione sostenibile del bosco3.
1 V. Cimmelli, Sarno nell’età moderna, Centro Ricerche e Documentazione Valle Del Sarno, Sarno, 1991. 2 G. Mazza, E. Amendola, Storia Liquida. Alluvioni e sistemazione idraulico-montana a Sarno dalla fine del ‘700 agli inizi del ‘900, Scala Editrice, 1999. 3 Ibidem.
Negli anni ’80 è iniziato però per la montagna di Sarno il lento declino delle attività agricole e selvicolturali. Il crollo del mercato del legno ha segnato l’abbandono definitivo del bosco, mentre le cause che stanno caratterizzando la crisi dell’agricoltura possono essere così sintetizzate: limitato guadagno, eccessiva parcellizzazione dei fondi, scarsa innovazione tecnologica, mancato ricambio generazionale ed eredi dei fondi spesso completamente disinteressati. E, con la fine delle attività agricole e selvicolturali, della vecchia gestione della montagna restano esclusivamente le problematiche legate al dissesto idrogeologico, agli incendi boschivi e alla mancata manutenzione.
La montagna, insomma, da risorsa è diventata una minaccia che grava costantemente sulla città di Sarno o meglio un’incombenza di cui non è semplice farsi carico. Passando ora alla situazione attuale, è innegabile che il contrasto al dissesto idrogeologico si attui anche attraverso efficaci e innovativi sistemi di monitoraggio, vista anche la disponibilità di nuovi e più potenti strumenti di controllo, ma pensare di definire un’immaginaria “linea di trincea” tra il centro abitato di Sarno e la montagna alle sue spalle, difesa e protetta da un esercito di agenti forestali e tecnici armati di pluviometri e termocamere, sembra uno scenario ai limiti della fantascienza.
L’abbandono della montagna ha portato senza dubbio ad una riduzione significativa della pressione antropica sulle risorse naturali e in modo particolare sulle aree boschive ma la presenza dell’uomo in queste aree ha avuto nei secoli anche i suoi effetti positivi: basti pensare alle sistemazioni idraulico- agrarie, alla manutenzione costante del bosco, delle strade e dei sentieri, alla salvaguardia del paesaggio e soprattutto al presidio del territorio, costituito dai contadini e dalle comunità rurali.
Il contadino, che coltiva e custodisce il proprio appezzamento di terreno giorno dopo giorno con particolare attenzione a tutto quanto avviene intorno a lui, ha da sempre rappresentato l’unica vera “sentinella del territorio”.
Le attività agricole e selvicolturali e il presidio costituito dai contadini diventano quindi un importante strumento di contrasto al dissesto idrogeologico e di tutela e salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, configurandosi non più come semplici attività economiche ma come un “servizio di pubblica utilità”. Bisogna pertanto individuare ogni forma di incentivazione che renda queste attività economicamente vantaggiose e preferibili, ad esempio, a sistemi intensivi e ad elevati livelli di meccanizzazione, cui è possibile ricorrere in altre aree, soprattutto quelle pianeggianti.
Ovviamente il ritorno dei contadini in montagna dovrà discostarsi completamente dalle vecchie logiche di sfruttamento sfrenato e intensivo. Il contadino del futuro dovrà partire dalla consapevolezza che il territorio in cui andrà ad insediarsi è un territorio estremamente fragile, di cui egli rappresenterà il vero custode, e in tutto questo giocheranno un ruolo significativo le nuove generazioni di agricoltori, o meglio di imprenditori agricoli, con una formazione specifica e competenze sempre più avanzate e multidisciplinari.
Sarno e le nuove generazioni hanno necessariamente bisogno della propria montagna, in quanto ritornare in montagna, oltre che salvaguardare la vita di chi abita a valle o produrre olio, vino, legna, significa riscoprire sé stessi, la propria storia, le proprie origini, le proprie radici, insomma la propria identità.
Il territorio compreso nel bacino idrografico del fiume Sarno, per le specificità e le caratteristiche geomorfologiche dei luoghi, è stato da sempre caratterizzato da un’estrema vulnerabilità idrogeologica. Come attestano fonti storiche, librarie ed archivistiche, le città che soggiacciono al massiccio del Monte Alvano, sin dalle origini, furono soggette agli interramenti causati dai materiali trasportati dalle piogge durante le alluvioni, esattamente come accadde la notte del 5 maggio del 1998, quando impressionanti colate rapide di fango si abbatterono tragicamente sui centri abitati dei comuni di Sarno, Siano, Quindici, Bracigliano e S. Felice a Cancello.
le colate di fango che invasero i nuclei abitativi
Accanto ai grandi eventi catastrofici, che hanno avuto maggiore risonanza nella storia ambientale del bacino superiore del Sarno, c’è un continuum di eventi periodici minori, che nel tempo hanno condizionato lo sviluppo economico, la vita e i comportamenti degli abitanti, costretti ad abbandonare le loro case di notte per non restare sepolti sotto le pietre, a tuffarsi d’inverno nelle acque gelide per raggiungere i luoghi di lavoro o a traslocare definitivamente quando la natura si riappropriava dei suoi spazi. Dal 1998 – nel tempo che il mio lavoro mi concede – ho continuato a studiare la situazione fisica, topografica ed economica dal punto di vista storico ambientale del bacino superiore del Sarno, inseguendone, in tutte le direzioni, le trame evolutive che hanno condotto agli attuali assetti. I miei studi sono frutto delle veglie, come scriveva Afan De Rivera, Direttore Generale di Ponti e Strade del Regno delle Due Sicilie, profondo conoscitore del dissesto idrogeologico del territorio.
Innumerevoli sono i tecnici e gli scienziati del XIX secolo, come il De Rivera, i quali, perfettamente consapevoli di ciò che si ripeteva costantemente ogni anno durante le stagioni delle piogge, approfondirono lo studio delle cause dei disastri, evidenziando quelle segnatamente correlate a fattori antropici e indagando le possibili soluzioni per una gestione del territorio adeguata alle peculiarità della nostra area.
Tutti i paesi situati alle falde dei monti e sottostanti a molti valloni, sono spesso soggetti agli alluvioni, cagionati per la gran copia delle acque, che in tempo delle dirotte piogge, non potendo queste essere contenute negli alvei corrispondenti, devono forzosamente sormontarli e deviarsi, aprendosi dei passaggi, ove si presenta una minore resistenza e un facile pendio. I nostri monti ricoperti dal materiale piroclastico proveniente dalle eruzioni del Vesuvio, connotati da una pendenza elevata, sono solcati da innumerevoli valloni, che per assolvere alla funzione, che la natura ha loro assegnato, di indirizzare le acque verso il recipiente principale, generano improvvisi e spaventosi torrenti che periodicamente portano devastazione nelle località maggiormente esposte al rischio idrogeologico.
parte dei versanti dei Monti del Sarno investiti dagli eventi franosi
Dunque, l’attività del Vesuvio è un elemento determinante nel modo in cui si manifesta il fenomeno naturale alluvionale. Durante le eruzioni, enormi quantità di ceneri, lapilli e piroclastiti, materiali incoerenti ad elevata permeabilità, si depositavano sui luoghi circostanti, per poi precipitare improvvisamente e drammaticamente, da monti e colline giu’ a valle, anche con piogge non particolarmente intense. Rapide e veloci le colate di fango corrono, trasportando enormi quantità di materiali. Con violenza sradicano, abbattono qualunque cosa gli si pari davanti, e senza neppure tanta pioggia in pianura, le acque strepitose allagano come a tradimento, scrive un testimone oculare della alluvione del 1794, della famiglia Calcabale di San Felice a Cancello, il quale lasciò scritto che, per replicate esperienze e fisiche ragioni, dopo piogge di cenere bisognava aspettarsi sempre precipitosissime piogge d’acque. Durante tutto l’Ottocento, le eruzioni si intensificarono, alimentando ed aumentando la copertura piroclastica sulle catene montuose che circondano il vulcano, con conseguenze disastrose sull’assetto territoriale. Così la Valle del Sarno con i suoi abitanti fu flagellata da eruzioni parossistiche, terremoti, alluvioni, venti impetuosi, torrenti che si precipitavano furiosi nei centri abitati, colate rapide di fango, esondazioni ricorrenti che impaludavano vaste aree, con un clima localmente influenzato dall’attività eruttiva del vulcano.
La storia-ambientale della Valle, certamente, non ha potuto progredire in maniera lineare e il rapporto dei suoi abitanti con la natura, molto probabilmente, non è mai stato armonicamente in equilibrio, piuttosto appare come una continua e incessante lotta impari che ha avuto un elevato prezzo in termini di vite umane e ripercussioni economiche pesantissime.
Ed è proprio tra il secolo XVIII e il XIX, che questo rapporto dell’uomo con la natura si incrina definitivamente e irreparabilmente – gettando le basi dell’attuale e più moderno dissesto idrogeologico – ma allo stesso tempo si sviluppano e si sperimentano le politiche di tutela ambientale più all’avanguardia, implementando e migliorando le tecniche di costruzione delle opere di difesa idraulica e di bonifica dei terreni.
Intanto, nel bacino del Sarno, il degrado ambientale si aggravò da monte a valle, per una serie di cause concomitanti derivanti dalle attività antropiche e dall’incremento demografico. Riconoscendo che i gravissimi disordini del bacino superiore del Sarno influiscono enormemente su quello inferiore, tre grandi tecnici del Regno delle Due Sicilie, De Rivera, Visconti e Degli Uberti, riuniti nella Commissione per le Acque del Sarno, istituita da SM Ferdinando II con il Real Rescritto del 1843, rilevarono le cause più strettamente legate ai fattori antropici che aggravavano le devastazioni: disordine delle acque superflue, mancato espurgo dei fossi, insano e selvaggio disboscamento – dovuto in buona parte agli usi civici a legnare – , incendi, dissodazioni e riduzione a coltura delle terre in pendio, restringimento degli alvei dei torrenti ad opera dei proprietari dei fondi limitrofi, costruzione di muri o argini da parte di privati proprietari nella cieca difesa degli interessi personali, presenza dei maceratoi del lino e della canapa e, non ultima, la costruzione delle parate sul fiume, innalzate per incrementare l’industria molitoria.
Dunque, era chiaro che se il fenomeno naturale delle colate rapide di fango era di per sé disastroso, la cattiva interazione dell’uomo con la natura lo rendeva tragicamente letale. Si delineò, allora, la responsabilità, riconducibile a fattori antropici, della evoluzione di un evento estremo naturale in una catastrofe innaturale, determinata dallo sviluppo e dal progresso umano e, di conseguenza, si moltiplicarono gli studi sulla salvaguardia ambientale, in particolare sulla necessità di rendere salde e boscose le pendici dei monti, con la distinzione delle piante da utilizzare nelle varie fasce di altitudine, tenendo presente che, in un contesto territoriale di estrema fragilità, gli effetti disastrosi delle alluvioni sono aggravati dal disboscamento, che non ne costituisce causa determinante.
La stessa Commissione per le Acque del Sarno non esitò a sottolineare che tra le più importanti opere di bonifica, vi sono quelle dirette a rimuovere le cause che producono devastazioni e, con una lungimiranza che non avrà seguito nella storia della nostra Valle, chiese l’applicazione di un rigido regolamento per le montagne che coronano il bacino del Sarno e la creazione di una commissione con il compito di vigilare su ogni eventuale abuso. Severe disposizioni limitavano le trasgressioni, regolando l’uso del suolo e dei suoi prodotti; le tecniche e i materiali adoperati nella costruzione delle opere di difesa idraulica, si integravano col paesaggio naturale. Briglie, muri di contenimento e catene di fabbrica, interventi di manutenzione ordinaria per frenare e arginare le acque, vasche e canali per convogliare, imbrigliare le acque e per bonificare i terreni, testimoniano ancora oggi la determinata volontà dell’uomo a voler a tutti i costi dominare e controllare una natura fragile ma indomita.
Opere di difesa, impatti ambientali e strategie di mitigazione del rischio
Nel XX secolo, le opere di bonifica del bacino superiore del Sarno, la lunga stasi del Vesuvio, iniziata dopo l’ultima eruzione del 1944, e il progresso tecnologico hanno per molto tempo tutelato il nostro territorio, garantendo la sicurezza e consentendo lo sviluppo dell’agricoltura.
In poco più di cinquanta anni, strade, fiumi e torrenti si confondono le une negli altri, intrecciando i reticoli. A mano a mano che si prosciugano e arginano le acque, i luoghi cambiano nome comune e, di conseguenza, mutano classe di appartenenza nella tassonomia degli elementi geo-topografici che descrivono: i torrenti solo valloni, alvei-strada semplicemente strade. La memoria collettiva si modifica insieme alla geomorfologia dei luoghi, di generazione in generazione, e questo processo di rimozione della parte liquida della storia ambientale, è coadiuvato dalla natura stessa che si mostra più benevola e meno matrigna. Ma l’apparente stabilità assunta dai luoghi non poteva cancellare la memoria dell’acqua che, la notte del 5 maggio 1998, ci ha trascinati indietro nel nostro passato di fango, trovandoci, però, a differenza dei nostri avi, completamente impreparati.
Dal secondo dopoguerra, ai fattori antropici evidenziati nel corso dei secoli precedenti, si sono aggiunte nuove concause che, nel 1998, hanno contribuito ad amplificare la potenza distruttiva delle colate rapide di fango, nonostante l’inattività del Vesuvio.
Per negligenza, per scellerata ignoranza o per un malinteso processo di urbanizzazione, lo sviluppo edilizio spregiudicato, tralasciando vincoli e divieti e violando ogni norma di tutela ambientale, e l’incuria colpevole dei dispositivi di sicurezza, hanno trasformato profondamente il territorio: torrenti e canalizzazioni ostruiti, vasche colmate trasformate in discariche illegali, anche quelle nei centri urbani, diboscamento, incendi ricorrenti, sostituzioni inadatte della copertura vegetale e riduzione a colture delle terre in pendio. Si è ostacolato con ogni mezzo la via alle acque, ma gli ostacoli costituiti dai nuovi insediamenti abitativi incontrati durante la corsa a valle delle colate di fango, non hanno impedito all’acqua di ricordare gli antichi tracciati.
A distanza di 23 anni dall’alluvione del 1998, attraversando parte della città di Sarno, salendo dal cimitero verso Episcopio e ricordando come erano quei luoghi prima, balza alla vista lo stravolgimento topografico: nuove strade, nuovi agglomerati urbani. L’impressione è che il fango abbia dato l’opportunità di strappare nuovi spazi alla natura. Non si può fermare il progresso, ma neppure si può impedire all’intero territorio di assolvere alla funzione fondamentale, che la natura gli ha assegnato, quella cioè di avviare le acque verso il recipiente principale: il fiume Sarno. E la memoria dell’acqua non si può cancellare, scolpisce nella pietra il ricordo dei luoghi che ha attraversato; scava solchi indelebili, che diventano valloni, si colmano, si profondano, trasformandosi tragicamente in burroni.
Riempiendosi di acqua sempre di più, piccoli rivi divengono così spaventevoli, furiosi, improvvisi e precipitosissimi torrenti. Le cause del fenomeno naturale non possono essere rimosse, ma per il contenimento delle potenziali calamità è urgente intervenire per rimuovere le cause legate ai fattori antropici.
Possiamo garantire la sicurezza, alla nostra e alle generazioni future, imponendo i divieti, definendo i limiti e le condizioni per un uso regolato del territorio, perché non si costruiscano case dove non si deve, e punendo severamente i trasgressori. In particolar modo, è necessario applicare un rigido regolamento per le montagne che coronano il bacino del Sarno, con l’obiettivo di rendere salde le pendici dei monti e boscose, laddove è possibile, individuando le piante da utilizzare nelle diverse fasce di altitudine, e soprattutto, vigilando costantemente su ogni reato.
Rifiuti nell’Alveo Comune Nocerino, il CNSBII chiede la rimozione
Il Cnsbii, Corpo Civico Nazionale delle Sentinelle dei Bacini Idrografici Italiani ha protocollato presso il Comune di San Marzano Sul Sarno in Provincia di Salerno, la richiesta di rimozione dei rifiuti dall’Alveo Comune Nocerino i quali giacciono da diverso tempo nel corso d’acqua. Una condizione che si presenta periodicamente all’altezza del “Ponte Marconi” della Via Guglielmo Marconi che collega, San Marzano Sul Sarno ad Angri.
Rifiuti accumulati presso il “Ponte Marconi” in Via G.Marconi in San Marzano Sul Sarno
Gli enti che hanno ricevuto l’istanza da parte del CNSBII ove si richiede la rimozione dei rifiuti sono: Il Sindaco di San Marzano Sul Sarno e la Polizia Locale, UOD 50 18 05 Genio Civile di Salerno, Protezione Civile, UOD 50 17 09 Autorizzazioni Ambientali e rifiuti Salerno, Ente d’Ambito per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani – Ambito Territoriale Ottimale “Salerno”,Provincia di Salerno Servizio di Rifiuti e Bonifiche, per conoscenza al Consorzio di Bonifica Integrale Comprensorio Sarno, all’Ente Parco del Fiume Sarno, UOD 50 17 09 Autorizzazioni Ambientali e rifiuti Salerno, l’Incaricato per il contrasto al fenomeno dei roghi di rifiuti nella regione Campania e Sma Campania.
A dura prova l’ecosistema fluviale
Ad oggi questa condizione di abbandono e stazionamento di rifiuti mette a dura prova la biodiversità locale già in condizioni critiche per la qualità delle acque che defluiscono nell’alveo e per le problematiche idrauliche che creano di volta in volta danni alle aree adiacenti al corso d’acqua.
Tipologie di Rifiuti presenti in alveo
L’alveo comune nocerino è vittima di sversamento di reflui fognari, abusi edilizi e da parte di alcuni contadini e civili nella mancanza del rispetto delle fasce ripariali a cui si dovrà prima o poi, in modo deciso, mettere un chiaro inizio di ripristino delle aree.
Abusi dimenticati
Le attività serricole nel corso degli anni hanno preso lo spazio delle aree ripariali.
Sembrerebbero essere molte le istanze depositate da parte dei vari organi di Polizia tra questi anche la Polizia Idraulica consortile che documentano e sanzionano abusi i quali giacciono nei vari uffici di molti comuni geograficamente e amministrativamente attigui ai corsi d’acqua del Bacino Idrografico del Fiume Sarno e che sono in attesa di “proseguo amministrativo” che ristabilisca gli spazi “naturali” o artificiali a tutela dei corsi d’acqua. Anche su questi atti, il CNSBII, sta cercando di averne notizia in modo da poter richiedere un accesso agli atti. La domanda che ci si pone, è perchè questi abusi non vengono eliminati?
L’Obiettivo
Ora il CNSBII, si concentra sull’obiettivo di far rimuovere i rifiuti presenti in alveo, nella speranza che chi ha competenza nella gestione riesca poi a trovare soluzioni territoriali al contrasto dell’abbandono dei rifiuti identificati in Rifiuti Solidi Urbani e la migliore gestione della flora ripariale come ad esempio le Canne d’acqua dolce “Arundo Donax”. Queste ultime non creano alcun danno, sia chiaro, ma se vengono gestite nel modo scorretto e falciate in modo inadeguato impattano sui ponti posti a pelo d’acqua lungo la valle del Bacino del Sarno.
Dragaggio obbligato su di un corso d’acqua senza aree cuscinetto adeguate, ma non l’unica soluzione!
Perché si riscontrano le occlusioni di rifiuti RSU all’altezza dei ponti? Per diversi motivi, come scritto poc’anzi la vegetazione mal gestita o naturalmente decadente defluisce sul pelo dell’acqua, l’assenza del dragaggio dei fondali fluviali per lo più artificiali, innalza il livello idrometrico delle acque e che sfiorano letteralmente i ponti presenti trasversalmente ai corsi d’acqua. Quindi impattando in primis le Canne di Arundo Donax creano delle occlusioni a cui si accompagnano i rifiuti galleggianti e l’abbandono diretto di questi da parte di criminali. Il dragaggio abbasserebbe il livello idrometrico fluviale ma permetterebbe di far defluire più rifiuti verso il fiume e nel mare.
Fondale dell’Alveo Comune Nocerino
Da oggi avvieremo il nostro conto alla rovescia ai trenta giorni e in allegato a questa comunicazione scriveremo i protocolli di deposito dell’istanza in modo che i cittadini possano anche autonomamente effettuare una richiesta di accesso agli atti o quanto meno informarsi nei confronti della Pubblica Amministrazione.
27 aprile 2021 deposito atto ai seguenti enti: Sindaco di San Marzano Sul Sarno e la Polizia Locale, UOD 50 18 05 Genio Civile di Salerno, Protezione Civile, UOD 50 17 09 Autorizzazioni Ambientali e rifiuti Salerno, Ente d’Ambito per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani – Ambito Territoriale Ottimale “Salerno”,Provincia di Salerno Servizio di Rifiuti e Bonifiche, per conoscenza al Consorzio di Bonifica Integrale Comprensorio Sarno, all’Ente Parco del Fiume Sarno, UOD 50 17 09 Autorizzazioni Ambientali e rifiuti Salerno, l’Incaricato per il contrasto al fenomeno dei roghi di rifiuti nella regione Campania e Sma Campania
27 aprile 2021 numeri protocolli enti:
Comune di San Marzano Sul Sarno n. prot. 5505 del 27-04-2021
Ente d’Ambito per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani – Ambito Territoriale Ottimale “Salerno” n.prot 1377
27 aprile 2021 il Sindaco di San Marzano Sul Sarno deposito un atto con n. prot. 5541 indirizzato
Al Presidente della Giunta Regionale Campania dott. Vincenzo De Luca seg.presidente@regione.campania.it, capo.gab@pec.regione.campania.it, staff.segreteria.giunta@pec.regione.campania.it
Regione Campania Dirigente della Direzione Generale per i Lavori pubblici e la Protezione Civile dott. Italo Giulivo dg.501800@pec.regione.campania.it
Regione Campania Dirigente Protezione Civile Emergenza e post-ernergenza Dott.ssa Campobasso Claudia soru@pec.regione.campania.it
Regione Campania. Dirigente della Direzione Generale per la Difesa del Suolo e l’Ecosistema dott. Michele Palmieri dg.500600@pec.regione.campania.it