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Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche



Introduzione di Michele Buscè
In questo affascinante articolo, Alfredo Franco ripubblica un estratto dell’opera “Nola” del letterato nolano Ambrogio Leone, in cui si racconta la storia della città e la sua lotta contro le devastanti alluvioni che la perseguitarono nel XV secolo. Con uno sguardo attento alla necessità di preservare i suoli e garantire un deflusso sicuro delle acque montanee, Leone ci invita a riflettere sulla forza distruttiva delle inondazioni e sulle soluzioni adottate per contrastarle. Tra le pagine di storia, scopriremo gli sforzi di bonifica intrapresi dalla Corona e dalla comunità locale, che portarono a una riconquista della terra e alla rinascita dell’agricoltura nella piana del Clanio. Un viaggio nel passato che ci mostra come la determinazione umana possa trasformare una calamità in una nuova opportunità di crescita e prosperità.



Le alluvioni a Nola: uno sguardo storico sulle calamità naturali

Sulle pagine del CNSBII si è già affrontato in modo sistematico l’impatto delle alluvioni nell’arco appenninico e subappenninico. L’invito a dare un contributo in merito, partendo da una prospettiva storica, mi dà modo di ripubblicare, rimaneggiato, uno stralcio specifico tratto da una opera più ampia (si veda in bibliografia “Studi Storici Sarnesi 3”).

Il letterato nolano Ambrogio Leone, medico e filosofo, membro dell’Accademia Aldina di Venezia, ormai lontano dalla patria nel primo decennio del Cinquecento stendeva la sua opera Nola. In essa ripercorreva la storia della sua città e anche la sua particolarissima storia naturale. Il sito infatti è stato sempre esposto alle colate di fango che provenivano dalle vicine montagne avellane e, per l’autore rinascimentale, era di fondamentale importanza che gli alvei si mantenessero sgombri dalle terre o altri ostacoli al decorso delle acque, essendo stato sia testimone diretto sia raccoglitore di memorie molto più antiche relative alla forza dirompente dell’alluvione.

I due grossi eventi alluvionali ricordati da Leone colpirono la città campana tra gli anni Venti e Trenta del XV secolo e nel mese di marzo del 1504. Quest’ultimo fu tale da imprimere nella coscienza cittadina un profondo senso di inquietudine se almeno due epigrafi lo ricordarono ammonendo i posteri. Ci resta questa cronaca dettagliata di Notargiacomo:

«Del mese de frebaro dicti anni 1504. sparò una boccha d’acqua sopra la Cità de Nola dove che annegò de multi terreni de Nola, sì anco erano quasi pieni li fossi, puzi et sepulture de Nola; et de dicta acqua se nne beveano et facevano el pane adeo che in li fossi et terreni si ’nce crearo multa quantità de pissi et per dicte cause ’nde morero da sey milia persune; la quale acqua correva dove ne cascaro doy case de Nola»

Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche
Schematizzazione della conca in cui ricade l’Agro nolano dall’opera Nola di Ambrogio Leone (1514)

Ambedue i testi indugiano sulla necessità di avere accortezza nel far defluire le acque montanee a tutela dei suoli, ricordando come la frana colpì la città entrando da Porta Vicanziana e lasciando dietro di sé una grande quantità di danni. Nell’estate seguente una letale epidemia ridusse la popolazione tanto che fu abbandonata ogni attività e gli abitanti, temendo il contagio, trovarono rifugio o nelle campagne circostanti o sulla collina di Cicala.

I sacerdoti annotarono a meno di un lustro di distanza dall’evento che la zona devastata si estendeva per oltre 500 passi verso il Vesuvio e che perirono circa 8000 persone. La stima della mortalità comprende anche i casali dei dintorni. E anche nella cronachistica cittadina si rinnova l’ammonimento al Lettore mettendolo in guardia dalla calamità: «Quindi salva te stesso e i tuoi cari»!

Per arginare lo sfollamento e contrastare la carestia il capitano attivò altri due mulini. Si cercava di evitare che ulteriori condizioni di contagio potessero propagarsi e di riportare la popolazione all’interno della città. Questo non fu il solo atto concreto da parte della Corona a favore dei nolani: il re Cattolico infatti nel 1507 rinnovò alla città e ai singoli cittadini tutti i privilegi commerciali già concessi dai re Aragonesi ed ulteriori sgravi furono concessi.

Bonifiche e risanamento ambientale: la lotta contro le inondazioni nella storia di Nola

In effetti lo strumento dello sgravio fiscale era l’unico e più immediato mezzo di sussidio nelle mani del re a favore delle popolazioni disagiate, essendo impensabili per la gravità dei tempi nuovi lavori di risistemazione degli alvei attorno alla città. Questa manutenzione fu in gran parte proseguita dai privati e, solo a fine secolo, condotta in modo concreto e sistematico non soltanto in prossimità delle mura nolane ma in tutta la piana del Clanio. Il progetto di risanamento ambientale dell’area, attuato in varie riprese tra il 1539 ed il 1561, subì diverse battute d’arresto a causa della scarsità di mezzi a disposizione.

Dopo oltre un trentennio i lavori furono riavviati con più metodo dal viceré Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos, che diede incarico all’architetto Domenico Fontana il quale vi operò ininterrottamente dal 1592 al 1604. I lavori di riconquista all’ agricoltura e all’insediamento stabile della grande fascia di territorio tra Nola e il Lago Patria fu condotta stavolta con decisione e con un programma organico di sovvenzionamenti. Non si trattò di una semplice ripulitura e di un mantenimento dell’alveo nella sua sede naturale, ma di una vera e propria opera di ricanalizzazione del percorso fluviale da sinuoso a rettilineo. Non fu però questo il solo accorgimento del direttore dell’opera di bonifica, perché lungo tutto il tracciato fu praticato uno scavo a sezione obbligata ben più profondo rispetto a quello naturale (8 palmi circa 2 m rispetto ai 5 palmi circa 1,25 m precedenti). Accanto a questo canale principale furono previsti altri canali alveolari il cui scopo era quello di impedire che i flutti del Clanio trovando la foce presso il Lago Patria ostruita dalle reti e dalle nasse dei pescatori potessero tornare indietro ed impaludare nuovamente tutta l’area. Questi due canali originavano rispettivamente dalla Gorgone e dall’area a nord di Acerra, congiungendosi poi al corso principale dove il fiume aveva una portata maggiore ed un letto idoneo a riceverne l’apporto. La riuscita del progetto fu dovuta al fatto di aver privato di forza la corrente a monte di Acerra e di aver impiegato squadre specializzate di manovali campani. Il figlio di Domenico Fontana, Giulio Cesare, completò il progetto paterno con successo.

Una prammatica del 1615, allo scopo di mantenere duraturi i brillanti risultati raggiunti, vietò l’industria della canapa e del lino nel fiume, inaugurando così una lunga stagione secentesca di manutenzioni ordinarie e straordinarie che si esaurì a metà del XVIII secolo, quando ormai l’intera pianura era stata completamente riconquistata.

Alluvioni a Nola: un viaggio storico tra devastazioni e rinascita attraverso le bonifiche
Veduta dell’opera dei regi Lagni (A. Baratta, Campaniae Felicis Typus, in G. Barrionuevo, Panegyricus Ill.mo et Ex.mo D.no Petro Fernandez a Castro etc., Neapoli 1616).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Elena Amendola, Il disordine climatico-ambientale dell’Anno 1779
Giuseppe Fiengo, I Regi Lagni e la bonifica della Campania felix durante il viceregno spagnolo, Firenze 1988.

Ambrogio Leone, Nola, a cura di Ruggiero A., Napoli 1997.
Cronica di Napoli di Notar Giacomo, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845.
Giuseppe Martini, Nola nel secondo Quattrocento, in Algorismus nolanus, Milano 1972
Alfredo Franco, Regime delle acque e organizzazione del territorio nell’Italia medievale (“Studi Storici Sarnesi 3”), Torre del Greco 2021.

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Emergenza caldo trascurata: Il problema ignorato dai comuni italiani



Emergenza caldo trascurata. Quando si parla di emergenze meteo, i comuni italiani sembrano mobilitarsi prontamente di fronte a fenomeni come pioggia, neve, freddo, gelo o vento. Tuttavia, c’è un problema critico che spesso viene trascurato e che merita attenzione: l’emergenza caldo. Nonostante le allerte emesse durante le ondate di caldo estivo, spesso le azioni concrete di prevenzione e gestione dell’emergenza sono insufficienti o addirittura assenti. In questo articolo, vorrei sottolineare questa mancanza e suggerire alcune soluzioni e proposte per affrontare con serietà questa situazione critica.

Le ondate di caldo estremo rappresentano una minaccia crescente per la salute e la sicurezza dei cittadini italiani. Il cambiamento climatico sta contribuendo all’aumento delle temperature e delle ondate di calore sempre più intense. Queste situazioni mettono a rischio soprattutto i gruppi vulnerabili, come gli anziani, i bambini, le persone con problemi di salute e coloro che vivono in condizioni precarie. Nonostante le sfide evidenti, l’emergenza caldo spesso viene considerata una priorità minore rispetto ad altre situazioni meteorologiche.

Emergenza caldo trascurata. Una delle cause principali di questa trascuratezza è la mancanza di piani d’emergenza specifici per il caldo estremo. I comuni devono sviluppare e attuare piani dettagliati, con azioni preventive ben strutturate e procedure tempestive per affrontare le ondate di caldo. Dovrebbero essere istituiti punti di ristoro pubblici, come centri comunitari o aree refrigerate, in modo che i cittadini possano trovare un rifugio dal caldo e dall’afa. Distribuire kit di protezione contenenti acqua, ventilatori portatili, cappelli da sole e creme solari a persone vulnerabili, come gli anziani o chi vive in condizioni precarie, potrebbe fornire un sostegno immediato.

La comunicazione è un altro aspetto critico che richiede miglioramenti significativi. I comuni dovrebbero investire di più nella diffusione di informazioni chiare e tempestive sui rischi del caldo estremo e sulle misure preventive da adottare. Campagne informative, eventi di sensibilizzazione e workshop dedicati alla preparazione per l’emergenza caldo potrebbero essere organizzati per coinvolgere attivamente la popolazione.

Alcune aree in Italia sono particolarmente esposte al caldo estremo, come le valli a livello del mare e le zone urbanizzate. In queste zone, l’impatto del caldo estivo può essere amplificato dall’effetto isola di calore, causato dall’eccessiva presenza di asfalto e cemento, che assorbe e trattiene il calore. Queste aree necessitano di una particolare attenzione e di azioni preventive mirate per garantire la sicurezza dei cittadini.

D’altro canto, alcune aree possono essere individuate come punti di rifugio durante le ondate di caldo. Sono spazi pubblici refrigerati, come centri commerciali, biblioteche o parchi ombreggiati, che possono fornire un’alternativa di protezione e refrigerio per i cittadini durante i momenti più critici.

Per affrontare con serietà l’emergenza caldo, è fondamentale coinvolgere diverse figure professionali. Assessori o responsabili delle politiche ambientali e di emergenza possono coordinare le azioni e sviluppare piani specifici. Operatori di protezione civile e medici possono garantire una risposta tempestiva e assistenza medica. Gli operatori di servizi sociali possono individuare e assistere le persone vulnerabili. Meteorologi e esperti di climatologia possono fornire previsioni e dati utili per la preparazione.

In conclusione, l’emergenza caldo è un problema serio e crescente che richiede un approccio serio e responsabile da parte dei comuni italiani. Solo con piani d’emergenza adeguati, una comunicazione efficace e il coinvolgimento di figure professionali competenti possiamo proteggere la salute e il benessere dei cittadini durante le ondate di caldo estivo. Ignorare o trascurare questa emergenza potrebbe avere conseguenze gravi, ma con il giusto approccio e la giusta preparazione possiamo fare la differenza nella salvaguardia della nostra comunità.

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Scopri il magnifico panorama a 360° da Pizzo San Michele

Guarda il panorama a 360°

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Scopri il magnifico panorama a 360° dal Pizzo San Michele (monte del Toro), situato nel territorio di Calvanico, nel Salernitano. Questa montagna, che raggiunge un’altezza di 1567 metri, offre uno spettacolo mozzafiato con le catene montuose circostanti, come i monti Picentini, i Lattari, gli Alburni e il maestoso Vesuvio. Puoi anche ammirare le catene del Partenio e del Matese, il golfo di Napoli e, nelle giornate limpide, la sagoma dell’isola d’Ischia.

Scopri il magnifico panorama a 360° dal Pizzo San Michele e ammira le catene montuose e il golfo di Napoli dalla vetta del Monte Toro.

La vetta del Monte Toro, chiamata anche Pizzo San Michele, è un luogo di grande bellezza. Qui, nel Medioevo, si dice che sia apparsa l’arcangelo Michele, e da allora il luogo è diventato un importante centro di culto. Il monte è meta di pellegrinaggi lungo sentieri che si snodano lungo i fianchi della montagna. Il percorso più lungo è il Sentiero della Scorza che parte da Solofra, mentre il Sentiero CAI 115, che inizia a Calvanico, è adatto anche a escursionisti meno esperti.

Durante l’escursione, lungo il percorso, troverai il Casone De Fazio, costruito nel 1925 a 1120 metri d’altezza. Qui vicino si trova una fontana di acqua sorgiva, chiamata Acqua Carpegna, dove puoi fare scorta di acqua prima di affrontare la parte finale del cammino. Lungo il sentiero, attraverserai fitti boschi di castagni e faggi, con tratti privi di vegetazione. Non lontano dal Casone, i resti di un’antica calcara, dove si lavorava la calce per la costruzione degli edifici sulla vetta.

Croci votive e la Pietra Santa: simboli di devozione lungo il percorso di pellegrinaggio.

Durante l’ascesa, troverai diverse croci votive che sono punti di riferimento per i pellegrini. La prima croce si trova all’incrocio con il sentiero CAI 136, e a metà percorso troverai un’edicola con l’immagine di San Michele risalente al 1616. Seguendo le curve del sentiero, si raggiunge la Pietra Santa, dove si ammira una croce dipinta su una pietra su cui è posta la statua di San Michele durante le processioni.

L’ultimo tratto del cammino è un terreno brullo che ti porterà finalmente alla vetta, dove potrai godere di una vista mozzafiato e visitare il santuario. Gli edifici più antichi, come la cappella di Sant’Agostino, il rifugio adiacente e il deposito con cucina, sono sempre aperti per accogliere i pellegrini. Accanto a questi edifici si trova una cappella più recente dedicata all’arcangelo Michele, costruita tra il 1945 e il 1949 con pietre e calce provenienti dalla calcara sottostante.

In passato era presente un campanile che, colpito da fulmini, divenne una cisterna nel 1965 per fornire una riserva d’acqua ai pellegrini. Dopo la faticosa salita, potrai ristorarti e ammirare la bellezza mozzafiato della vetta del Monte Toro. Non perdere l’opportunità di vivere questa esperienza unica e di immergerti nella natura incontaminata delle montagne italiane.

Pizzo San MicheleComune di CalvanicoComune di SolofraComune di Montoro




Fiume Finke storia affascinante di 400 milioni anni

Fiume Finke storia affascinante. Benvenuti nel mondo affascinante del fiume Finke, conosciuto anche come Larapinta.

Una storia che si stima risalga a 400 milioni di anni, questo fiume in Australia ha suscitato dibattiti tra gli scienziati sulla sua esatta età.

Le caratteristiche ecologiche e l’analisi dei sedimenti del letto del fiume sono solo alcune delle sfide che gli studiosi affrontano nel determinare la sua origine. Scopriamo insieme questa meraviglia geologica unica.

Determinare l’età dei fiumi: Una sfida complessa per gli scienziati

Determinare l’età esatta dei fiumi è un compito complesso per gli scienziati. L’analisi dei sedimenti, la datazione delle rocce, studio della geologia e topografia sono utilizzati per stimare l’età di queste entità che hanno plasmato il paesaggio per milioni di anni.

Il fiume Finke, noto anche come Larapinta, in Australia, è considerato uno dei fiumi più antichi del mondo. Ha un’età stimata tra 350 e 400 milioni di anni. La sua età è determinata attraverso l’analisi delle caratteristiche geologiche e dei sedimenti presenti nel letto del fiume. Tuttavia, nonostante gli studi condotti, ci sono ancora incertezze e dibattiti sulla sua esatta età.

Il fiume Finke: Uno dei più antichi al mondo, ma con incertezze sull’età esatta

Allo stesso modo, il New River, situato in Nord America, è considerato uno dei fiumi più antichi del continente. Ha un’età stimata tra 10 e 360 milioni di anni. La vasta differenza di tempo nelle stime dell’età evidenzia la sfida di determinare con precisione l’età di un fiume.

In Europa, il fiume più antico è il Mosa, che scorre attraverso la Francia, il Belgio e i Paesi Bassi. Si stima che abbia un’età compresa tra 320 e 340 milioni di anni, basata sullo studio delle caratteristiche geologiche della regione.

La determinazione dell’età di un fiume richiede un’approfondita analisi scientifica e può comportare alcune incertezze. Tuttavia, gli scienziati continuano a studiare queste meraviglie naturali al fine di comprendere meglio la storia geologica del nostro pianeta.




Escursione in bici ad Acqua di Mugliano: meta naturale a Forino

Escursione in bici ad Acqua di Mugliano

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Nella giornata di Sabato 27 Maggio ho deciso di fare una piccola uscita in bici, dopo un lungo periodo di pausa. Essendo un amante della natura, ho scelto una meta poco distante dal mio paese, destinazione Acqua di Mugliano. Il mio giro inizia nel primo pomeriggio, con partenza dal centro urbano di Forino, seguendo le indicazioni per Bracigliano SP30.

Lungo la strada la presenza di noccioleti, seguono coltivazioni di castagni da frutto ed alcuni ciliegi, qui in alcuni punti è possibile ammirare anche di un ottimo panorama sul centro abitato. Continuando a salire si passa alla presenza di bosco ceduo. Arrivato a quota 620m s.l.m. inizia un breve tratto pianeggiante con una piccola pineta, proprietà del Comune di Forino.

Addentrandosi per pochi metri all’interno della pineta, è possibile osservare quel che un tempo erano le Neviere “da neve” di Piano Salto, dove all’interno si conservava la neve compattata per poi utilizzarla per la conservazione di prodotti alimentari. Di fronte la pineta una stradina di montagna caratterizzata da rocce e pietrischi. Imboccata questa stradina si arriverà dopo circa 5-8 minuti ad un bivio, noi proseguiamo tendendo la nostra destra.

Da qui si apre un percorso prevalentemente in piano che attraversa i boschi di castagno selvatico e si conserva la presenza di qualche isolato Faggio. Durante il percorso si può godere dei suoni che la natura offre. Ad un tratto del sentiero, in una breve curva è possibile osservare anche una notevole parete rocciosa dove per l’intero periodo autunno, inverno e primavera è presente anche un ristagno d’acqua e per i più fortunati è possibile osservare anche la “Salamandra Pezzata”.

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Noi proseguiamo il nostro giro, qui inizia un breve tratto insidioso in discesa, caratterizzato da rocce anche di medie dimensioni e giungiamo alla nostra meta, la Sorgente Acqua di Mugliano. Una sorgente che sgorga da una cavità rocciosa, spettacolare. Circondata da vegetazione e muschi. Caratterizzata da acque limpide e fresche (interessante conoscere la sua potabilità o meno), nelle immediate vicinanze vi è anche una sorte di fontana a due vasche.

Dopo una breve sosta riprendo il mio giro con la mia bici, subito una salita in rocce anche questa abbastanza insidiosa che termina su strada asfaltata. Io proseguo verso la mia destra, per uscire dopo pochi metri ad un bivio che incrocia la SS403 e svolto verso destra, da qui alcuni km in discesa tra curve e rettilinei, fino a giungere nuovamente in paese.

L’intero percorso copre una distanza di 26 km e offre un’esperienza immersa nella natura, tra boschi rigogliosi, sorgenti incantevoli e panorami mozzafiato. L’escursione in bici ad Acqua di Mugliano è perfetta per gli amanti dell’avventura e della tranquillità, permettendo di godere della bellezza della natura nel cuore della campagna vicino a Forino.

Il sito del comune di Forino